Commenti feroci
Una guerra tra mondi diversi
Una via di mezzo è possibile?
Asimov, pur appartenendo alla categoria degli appassionati, e non negando un certo interesse per l’evangelizzazione, non ama gli schieramenti netti e preferisce proporre vie mediane. Se è più che comprensibile il desiderio degli appassionati di coinvolgere amici e conoscenti nell’avvincente mondo del vino, lo è meno la foga da proselitista di chi non vuole ammettere che tra quegli amici ci sarà sempre chi beve vino semplicemente per bere vino. Se alcuni “preferiscono di gran lunga mangiare hamburger al fast food, e non cenare nell’ottimo bistrot all’angolo, o esplorare i menu degustazione di chef visionari” non meritano per questo di essere bollati come inferiori. Di contro, gli avversari potrebbero smettere di vedere nei bevitori appassionati un unico branco di sprezzanti zeloti, dediti alla ricerca di introvabili etichette: “i fan degli Apothic dovrebbero essere liberi di gustare questi vini senza disapprovazione” tuttavia “non dovrebbero aspettarsi che i critici del vino parlino con approvazione di quelle bottiglie“. Come dire: va bene ascoltare Bohemian Rhapsody nonostante le recensioni critiche; non va bene farlo insultando quei critici, magari tormentati dal pensiero di stare ascoltando qualcosa di sbagliato.
Questioni irrisolte
La conclusione? “Nessuno dovrebbe pensare che il vino che ha scelto di bere riveli qualcosa di sé. Semiotica e marketing a parte, le connotazioni affibbiate alla scelta di un vino sono profondamente dannose sia per la cultura del vino americano sia ai fini di una civile discussione sull’argomento.” Insomma, “bevi ciò che vuoi perché ti piace, non perché rappresenta qualcosa o perché è uno status symbol”. Un ragionamento sensato, che suscita però qualche domanda. Una soprattutto: il vino che scegliamo di bere davvero non rivela niente di noi?
Gherardo Fabretti